Un amico di nome Davide mi disse: “Non ti racconto la mia vita perché poi, penso che ad una giornalista in genere non si possano raccontare le cose private, diventerebbero pubbliche!”
Niente di più falso, per me, una confidenza privata rimane tale e sono abbastanza ostinata nell’essere di parola e gelosamente riservata quando ci sono in ballo le altrui confessioni che non debbono mai essere rivelate.
Una confidenza non è per tutti ma appartiene solo a due persone: a colui che si confida. Al confessore. Stop!
Trovo bello ed affascinante il solo ascoltare e talvolta raccontare io stessa qualcosa di me anche se privilegio l’ascolto e considero, chi si racconta, nel momento in cui lo fa come una persona da maneggiare con cura.
Raccontare i propri segreti vuol dire liberarsi di qualcosa, pesa come un macigno quello che non si dice, raccontarsi è come spogliarsi di un indumento indesiderato o comunque imbarazzante che nessuno vede ma che, una persona mostra solo a te, ecco, trovo tutto questo molto particolare, di assoluta fiducia che viene riposta in te e di certo è molto terapeutico.
Se veramente io raccontassi ciò che mi viene detto nel corso di conversazioni private da persone di ogni livello, beh, non pubblicherei un libro ma un’Enciclopedia a volumi che avrebbe subito milioni di lettori.
Le confidenze private rivelate (per assurdo) al grande pubblico dei lettori, piacerebbero come poche altre cose al mondo, farebbero immediatamente la mia fortuna.
Nessuno immagina le proposte vantaggiose che ho ricevuto nel tempo da parte di chi avrebbe voluto sapere e pubblicare fatti privati e confidenze di persone anche con ruoli molto importanti che si sono raccontate e si raccontano a me.
Del tutto diverso è invece quando uno mi racconta una sua stranezza nella quale mi vuole assolutamente coinvolgere ed è successo più di una volta.
Uno squilibrato (a qualsiasi titolo) che pretende di rendermi partecipe insieme a lui attivamente dei suoi squilibri, non è uno che ha scelto di confidarsi con me, ma si racconta unicamente per assegnarmi un ruolo attivo di complice del suo problema.
Da precisare che uno squilibrato non è solo colui che va in giro a distruggere le macchine o le persone, spesso lo squilibrato è una persona assolutamente normale, uno che svolge un lavoro normale o, in molti casi, uno che fa un lavoro che gli impone di apparire piuttosto serio e professionale, ma che poi esplode nel privato con un suo lato oscuro che non rivela pubblicamente.
Ne è pieno del resto di squilibrati/normali il mondo.
Ecco perché scrivo talvolta articoli su amici o vecchie conoscenze e lo faccio solo ed esclusivamente per raccontare fatti ed atteggiamenti di persone non equilibrate per qualche motivo perché sono quelle che avrebbero voluto rendermi partecipe delle loro anomalie restandoci loro poi molto male nell’apprendere il mio disappunto.
Quando arrivo a scrivere un articolo su qualcuno, significa che ho individuato la catastrofe in una persona che mi ha poi spinto a scrivere, non scrivo di ognuno che si racconta a me (giammai!)
Il mio, non è mai un raccontare fatti o pettegolezzi ma solo un intento di informare i lettori di ciò che accade, il dovere di informazione prevale sulla confessione stessa in certi rari casi quando la confidenza è solo un mezzo per arrivare ad uno scopo malsano.
Non so diventare vittima/complice di qualcuno perché non vedo la necessità di dover assecondare una persona nella sua follia (qualunque essa sia) quando tenta di coinvolgermi facendola passare per normalità.
Ipotizzo che un amico qualsiasi mi racconta di andare a letto con cinque donne oppure con uomini e donne, o di guardare i film porno per eccitarsi da solo o in gruppo (per esempio), io ne prendo atto e lo tengo per me, non cambia la stima verso qualcuno perché mi rivela le sue performances sessuali, anche le più temerarie e buffe.
Il mondo è bello perché è vario e certe confidenze talvolta fanno sorridere oppure attirano la mia simpatia perché, nel privato, molti sono davvero bizzarri.
Se invece qualcuno che ritengo amico mi dice di immaginare me ed altre mentre pratica autoerotismo e comprendo che ciò rappresenta la regola per quel qualcuno, beh non ho nulla di cui sentirmi gratificata perché io rappresento l’oggetto dei desideri malsani altrui, magari di qualcuno che ha grossi problemi di natura sessuale che non intende affrontare, in questi casi divento parte del problema o rappresento io una soluzione provvisoria al problema, ecco, queste non sono confidenze ma rivelazioni con delle finalità ben precise da parte di persone che hanno disturbi sia della personalità che a livello sessuale (che non intendono affrontare, ma solo tamponare servendosi della confidente di turno).
Non di rado ho capito poi che, chi impone i propri desideri erotici, dall’autoerotismo immaginato dal diretto interessato come qualcosa di estremamente gioioso e partecipativo (perché il racconto ha la precisa finalità di entusiasmare anche la confidente) o giochi erotici di dubbio gusto, è una persona chiusa mentalmente, rigida e dai tratti autoritari, asociale e, spesso, sociopatica, di quelle persone che soffrono in silenzio e si confidano raramente, a fatica.
Non senza dispiacere fui costretta ad interrompere l’amicizia con un tale, affermato professionista, con cui avevo scritto articoli interessanti, lo feci a malincuore essendomi ormai abituata a lui, alla sua disponibilità, al suo modo di rispondere ad ogni mio quesito ma, la doccia fredda arrivò quando mi confidò di immaginarmi in situazioni a dir poco anomale ed inquietanti che mettevano in luce il suo carattere molto autoritario.
Ma la follia viaggia spesso con la sociopatia, ci sono fin troppe persone che vivono di mille frustrazioni per tutto ed, ogni dispiacere non opportunamente rimosso, poi si riflette su aspetti della vita privata e sessuale di ciascuno.
Potrei fare tanti esempi perché, purtroppo capita talvolta di parlare volentieri con una persona da tempo, poi arrivi a scoprire una sua mania o stranezza che non resta una semplice confidenza e ti rendi conto che, quella follia deve diventare anche la tua follia, altrimenti quell’amico scompare sopraffatto dalla vergogna.
Esempi classici sono quelli riguardanti gli squilibri di natura sessuale in genere rivelati da chi ha problemi con il sesso, se quelle manie o fantasie malate mi vengono raccontate come confessioni, rimangono solo nell’archivio della mia mente.
Ed ancora, se delle confidenze di natura erotica rivelano uno squilibrio di una persona, una sua mancanza, ugualmente io tengo per me la rivelazione, pur dando talvolta un consiglio quando comprendo di poterlo fare.
Talvolta però succede (come ho già detto) anche che, un comportamento sessuale anomalo ti viene illustrato da chi ritiene di coinvolgerti attivamente nella sua anomalia, in questi casi, la rottura è inevitabile perché non mi interessa assecondare chi ha un problema, giocando con chi si confida lo assecondi regalandogli l’illusione che tutto quel che fa o ti racconta di fare sia normale, questo non può che creare malessere ulteriore nel soggetto che si è confidato, lo comprendo benissimo e non fa bene a nessuno.
È ormai chiaro anche che non tutte le confidenze sono davvero tali, ci sono quelle persone che le fanno (di una certa natura) solo quando sentono di essersi abituate a te, quando l’amicizia con loro diventa particolarmente affiatata, ecco allora che arriva la rivelazione che suona come una doccia gelata. Ti trovi ad ascoltare un lato inedito di quella persona, magari è un amico a cui ti sei affezionata o con cui speravi di collaborare, pensavi di incontrarlo, oppure lo hai già incontrato ma, solo in un determinato momento, quella persona decide di rivelarsi.
Il momento della rivelazione rappresenta il più delicato, ti trovi come ad un bivio: o accetti (per assurdo) di far tue le stranezze dell’altro e rovini la tua esistenza perché le tolleri come cose normali oppure reagisci, parlandone, come solitamente faccio.
Ecco il dramma che inizia: parlare con il diretto interessato delle sue stranezze significa verificare immediatamente la sua sensazione di vergogna ed umiliazione, ed è immediatamente palpabile.
La persona che si è confidata con te sperando vivamente di coinvolgerti in un suo pensiero perverso, avrà subito la classica sensazione del tipo: “Oh nooo, questo è il genere di cose che faccio solo quando non c’è nessuno a guardarmi!”
Immagino la scena di quando ci si sente osservati ma si è costretti ad interrompere immediatamente ciò che si stava facendo, non è l’ interruzione che umilia ma l’essere scoperti.
Esattamente come si sente scoperta ed umiliata ogni persona che si rivolge a me (con conversazioni rigorosamente private sperando vivamente di coinvolgermi nelle sue anomalie) quando poi si rende conto che io mi limito solo ad ascoltare.
Allo stesso modo è una doccia fredda per chi ha confidato a me qualcosa di cui prova poi vergogna inevitabilmente quando scopre che sono una persona di assoluta fiducia sì ed amante della discrezione, ma non complice della follia, ascoltare significa rimanere estranei ai fatti, non compierli poi in prima persona.
E ben comprendo la vergogna e l’imbarazzo poi di chi mi ha affidato il suo lato malato e segreto sperando di coinvolgermi mentre poi si ritrova solo da me descritto (seppur in assoluto anonimato) in un articolo o altrove.
Questo mio raccontare (in casi rari) viene frainteso da chi non conosce il mio mestiere, nessuna confidenza si trasforma in articoli salvo i casi in cui mi viene richiesto.
Lo ripeto per tutti, per chiarire il ruolo di chi fa informazione come me: le sole confidenze che sono portata occasionalmente a raccontare sono quelle di persone con un disturbo della personalità e/o sessualità che pretendono di utilizzarmi per immaginare o vivere situazioni malate.
Raccontare in forma anonima i fatti significa diffondere la conoscenza degli stessi, la conoscenza è Cultura, io vivo di Cultura, mentre il tacere (per me) significherebbe entrare io stessa in certe dinamiche mentali non sane di colui/coloro che non vogliono parlare del loro problema.
Se il soggetto con un evidente squilibrio non riesce a chiedere aiuto a specialisti e rifiuta di vedere persino il problema ma chiede solo di non parlarne a chi lo ha ascoltato, in questi casi succede che gli squilibrati diventano due: io e lui.
A chi giova dunque il fingere che tutto sia normale quando non lo è?
RIBADISCO PERÒ CHE IL NON RACCONTARE I SEGRETI RIVELATI IN GENERE È UNA COSA SACROSANTA!
Reggere il gioco a coloro che ti vorrebbero invece coinvolgere pienamente nelle loro stranezze, significa scegliere di stranirsi insieme.
ANDREBBERO FATTE PERÒ ALCUNE PRECISAZIONI PER TUTTI CHE RIGUARDANO LA MIA PROFESSIONE:
1) In quanto scrittrice di storie vere, sarebbe un paradosso non raccontare la vita e le stranezze umane in genere.
2) In quanto scrittrice, sono attenta osservatrice della realtà e, come tale, i miei lettori si aspettano che io racconti ciò che vedo e so.
3) In quanto confidente delle persone, mi astengo dal raccontare come gli italiani vivono il sesso o altre situazioni, anche le più assurde, non mi occupo di questo e comunque, ogni confidenza deve rimanere tale, sennò farei la spia di mestiere.
4) Da scrittrice della felicità, va detto che come conduco io per prima una vita abbastanza equilibrata e serena, cerco anche di dare consigli e dunque, come potrei assecondare chi non riesce più ad essere equilibrato perché teme di affrontare il suo problema?
È vero, scrivo la realtà, non le confidenze affidate solo a me, la realtà che scrivo in genere non proviene dalle confessioni.
Se soltanto però riscontro delle anomalie di certe persone che pretendono di coinvolgerti ad ogni costo nei loro giochi solo perché te li hanno rivelati, beh, non riesco a fingere che tutto sia normale, partecipando attivamente al gioco.
I problemi vanno affrontati, non si può rimediare cercando complici che ci facciano sentire normali comunque.
Immagino (per assurdo) un individuo che va dallo psicologo o sessuologo e, dopo avergli rivelato le sue anomalie di natura erotica, poi pretende di coinvolgere lo psicologo/sessuologo nelle sue anomalie facendolo diventare suo complice di giochi erotici strani, altrimenti (ahimè) il poveretto si vergogna di sé stesso dopo essersi confidato con lo specialista.
Ma che ragionamento è?
Già ma chi vive un problema di cui si vergogna non riesce a fare un normale ragionamento, sennò sarebbe una persona equilibrata.
Se uno ha un problema, dovrebbe invece chiedere aiuto, non esasperandosi ancor di più con rimedi fai da te.
Un mio amico Avvocato mi disse: “Il potersi raccontare e il sapere di essere ascoltati è la cosa più importante che le persone vogliono. Non il giudizio ma l’ascolto, ricordalo sempre tu che hai questa bella dote di saper ascoltare!”
Già, il sapere di potersi confidare con qualcuno è un sollievo per molte persone. E lo verifico quotidianamente.
Il confidente è dunque simile ad un prete che ascolta le altrui confessioni, un prete dall’aria bonaria e che non giudica, questa è la funzione sua propria.
Io mi sento come un prete che legge (ed ascolta) le confidenze altrui, se qualcuno però ritiene di potersi raccontare privatamente con finalità specifiche non sane sbaglia perché non si confida ma cerca di approfittare della tua disponibilità utilizzandoti per i suoi scopi, non è uno che ha il bisogno di aprirsi con te o liberarsi di un peso.
Rispondendo dunque a Davide e a tutti quelli che credono (erroneamente) che una scrittrice di storie vere sia una sorta di spia che spiffera tutto a tutti, beh, evidentemente non ha capito lui e, quanti la pensano come lui, proprio un bel nulla del mio mestiere.
Ricordando poi che, se le persone tutte, anche quelle con ruoli importanti, si confidano da sempre con me (grazie all’empatia che riesco a creare) è evidente che ormai i più sanno che la mia forma mentis mi impedisce di rivelare ciò che mi è stato confidato.
Precisando che sono (mi dicono) sì empatica, sì gioiosa, così come di mentalità aperta ma anche molto decisa nel non rivelare mai quanto mi viene detto a livello di confidenza.
Tanto per dirla con un esempio concreto: “Mi sento come una cassaforte che conserva le confidenze di molti, di cui nessuno avrà mai la combinazione per aprirla!”
Quindi, suggerisco a tutti di non tenere mai le cose dentro, ci si ammala perché siamo animali sociali ed ho modo di verificare quasi ogni giorno il malessere di chi non riesce ad affrontare i suoi problemi già solo tenendoli per sé come fossero una punizione o qualcosa di cui vergognarsi.
Non dimentichiamo mai che le nevrosi e patologie simili si scatenano molto spesso proprio ai danni di chi tiene le cose dentro. Non serve scomodare Freud per spiegarlo.
E MI RAPPRESENTA BENISSIMO l’IMMAGINE SCELTA PER QUESTO ARTICOLO, MI VEDO ASSOLUTAMENTE CON IL BAVAGLIO PER QUASI TUTTI.
IL RUOLO DI QUALSIASI GIORNALISTA/SCRITTORE È QUELLO DI FOTOGRAFARE LA REALTÀ, NON LE CONFIDENZE. CHE SIA CHIARO PER TUTTI!

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